Terza elementare. Lezione di scienze. La maestra ci affida il compito di fotografare gli animali, per insegnarci ad osservare da vicino le loro caratteristiche.
I miei genitori mi portano allo zoo di Firenze e, per la prima volta nella mia vita, mi affidano la macchina fotografica, fino ad allora frutto proibito di cui non potevo cibarmi. Sempre troppo alta nelle mani di mio padre. Sempre troppo fragile e preziosa per stare fra le mie.
Eccola adesso, con un rullino tutto per me, pronto a bloccare per sempre le impressioni che così facilmente scivolano via, e renderle visibili anche agli altri.
Un rullino di animali, ritratti il più vicino possibile, per catturarne il calore, l’odore acre, lo scintillio dei loro musi umidi incastrati fra le sbarre. E poi il sorriso di mio fratello, già seduto sul sedile posteriore della macchina dopo un pomeriggio di giochi. Il sole gli rendeva trasparenti le guance.
Lo sviluppo fu una delusione: foto sfocate, tagliate, mosse, troppo buie, illeggibili…
In una parola, infedeli. E bugiarde, anche. Non era quello che volevo dire, non era quello che avevo visto.
Da quel giorno mi promisi che avrei insegnato alla macchina fotografica a mostrare cosa c’è nei miei occhi. Non che ci sia riuscita, beninteso. Ma ogni tanto mi ascolta.
Per questo da domani, ogni tanto, vi mostrerò i messaggi che vedo sfilare davanti a me. Spero di essere pronta a coglierli.