Il “Pecorone”, che ci crediate o no, è, nonostante il nome inusuale, un’opera letteraria. Ma perchè accostare un’opera dal nome così “pecoreccio” nientemeno che al celebratissimo Decameron del Boccaccio? Si può sapere subito. Intanto, l’opera che va sotto il nome di “Pecorone” è anch’essa una raccolta di novelle (cinquanta per la precisione, contro le 100 del Decameron); in secondo luogo, l’autore è anch’esso un Giovanni di Firenze: a differenza del ben più noto Giovanni Boccaccio, tuttavia, del presunto autore del Pecorone non si hanno notizie precise, tant’è che lo scrittore viene appunto denominato nel tempo semplicemente Giovanni Fiorentino, ad indicare che tutto ciò che è dato sapere su di lui è il nome di battesimo e la provenienza.
Le due raccolte di novelle hanno in comune anche un certo qual tenore licenzioso. E’ possibile infatti affermare che anche le novelle raccolta nel Pecorone sono di argomento piuttosto “boccaccesco” ovvero tendenti all’osceno e allo scabroso, soprattutto in materia sessuale. Il che non deve affatto stupire, se si pensa che le novelle ivi raccolte sono desunte in massima parte proprio dalle opere topiche del genere, come Apuleio, il Libro de’ Sette Savi e lo stesso Boccaccio: infatti il Pecorone viene redatto successivamente al tumulto dei Ciompi, mentre il Decameron segue immediatamente la Grande Peste del 1348. Nella trentina di anni che vi intercorrono il Decameron era già divenuto un classico del genere. Il curiosissimo nome di Pecorone deriva all’opera di questo Giovanni Fiorentino da un sonetto posto in apertura dell’opera che, oltre ad indicare l’inizio della stesura nell’anno 1378, spiega come tale appellativo sia adatto ad un libro nel quale le novelle raccolte parleranno di novi barbagianni, ovvero di citrulli inusitati (o stolti, ma meglio sarebbe dire, all’uso toscano, “allocchi”, che vuol dire lo stesso che barbagianni ed è del pari un rapace notturno). Quel che di più interessante mi preme qui sottolineare, è la fortuna riscontrata nel tempo dal “Pecorone” che, sebbene poco noto al pubblico odierno, fu comunque ripreso in più novelle da narrazioni successive: per citare un caso su tutti, la novella di Giannetto viene usata da William Shakespeare come base per costruire la trama del Mercante di Venezia. La preziosa opera novellistica ci è tramandata grazie a tre codici manoscritti, conservati due a Firenze ed uno a Milano: a Firenze, il Laurenziano Rediano, conservato presso la Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze e il codice magliabechiano II.IV.139 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze; a Milano, il codice 85 della Biblioteca Trivulziana. Ecco il link per chi volesse consultare il Pecorone completo.