Oggi è un complesso residenziale pressochè principesco, immerso nello splendore dei colli fiorentini che sorgono attorno a Ponte a Ema: è Villa la Selva, un condominio di lusso ricavato dalla lottizzazione in appartamenti del magnifico edificio che. però, per quanto sia ancora oggi placido nella campagna toscana con le sue statue e la piscina ad uso dei residenti, ha rappresentato per molti sfortunati, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, la porta di accesso ai lager tedeschi.
Per la precisione, Villa la Selva viene istituito come campo di internamento civile, ovvero come luogo in cui venivano raccolti anti-fascisti e oppositori vari del regime. La funzione di confino per i dissidenti politici, ricoperta fra il 1940 ed il 1943 viene però sostituita, successivamente all’8 settembre, nella ben più feroce destinazione a campo di raccolta degli ebrei fiorentini: da qui, i giudei partivano sui treni piombati per i lager tedeschi.
Testimone muto ma incombente dell’infame collaborazione della Repubblica Sociale (istitutrice dei campi di raccolta che avviavano gli ebrei ai lager in Germania) con la dittatura nazista, Villa la Selva si trova quasi intatta, ancora, nel suo aspetto originario, in via del Carota: trovarla non è difficile, basta entrare nella angusta via di campagna venendo da Firenze e, superata la Fattoria di Rimezzano sulla destra, si trova subito dopo pochi metri un piccolo bivio. Salendo il leggero declivio sulla sinistra, si arriva al cancello della superba villa suburbana dopo qualche centinaio di metri.
E’ impossibile sbagliarsi: al bivio, proprio nel punto in cui si lascia via del Carota per deviare sulla sinistra verso la villa, il Comune di Bagno a Ripoli ha fatto apporre, il 29 gennaio 2009, in occasione della Giornata della Memoria, un cippo commemorativo in ricordo degli internati e delle vittime del “lager fiorentino”.
Il campo di raccolta di Villa Selva aveva una capienza di 200 posti, ed era un campo di concentramento specificamente maschile. Destinato come accennato a raccogliere inizialmente i “sudditi nemici” , scrive la pagina più dolorosa della sua storia dopo l’Armistizio, quando inizia a raccogliere, assieme alla vicina Villa la Colombaia, gli individui colpiti dalle leggi razziali, che da qui vengono prima trasferiti al campo di raccolta di Fossoli (quello stesso famoso a livello letterario perchè vi transitò Primo Levi, che racconta la vicenda in Se questo è un uomo), in Emilia, e da lì ai campi di concentramento in Germania e Polonia.
Diretto dal Commissario Pasquale de Pasquale, fu infine chiuso definitivamente nel luglio 1944, dopo che gli Alleati lo avevano occupato nel maggio dello stesso anno trovandovi 42 internati.
Anche oggi che la villa è tornata a vivere come condominio di lusso, e a prima vista nessuno indovinerebbe i suoi lugubri trascorsi, non mancano i curiosi che si spingono a citofonare ai residenti, probabilmente per capire come possano convivere serenamente, in questo luogo pur estremamente ameno, con un passato così funesto e per carpire loro, magari, l’effetto che fa (come diceva Jannacci).
Come si faccia a vivere in un luogo legato a così tristi vicende è domanda che probabilmente i condomini non si pongono: molti sono ricchi stranieri, e probabilmente non ne conoscono nemmeno la storia. Più probabilmente, però, fanno finta di niente e basta: il passato, alla fine, è passato. Soprattutto se non ti riguarda direttamente.
Questo passato riguarda però molto da vicino gli ex-internati, i sopravvissuti al pericolo di partire per i campi di concentramento per non dover tornare più, e i loro familiari. E’ il caso di Matilde Jonas, figlia di Giorgio, che infatti ci ha scritto sopra un libro. Si intitola la “Saga delle Colombe”, e rappresenta la ricostruzione dell’internamento a Villa la Selva del padre Giorgio, ricostruito dalla figlia Matilde sulla base degli appunti redatti dal primo durante la prigionia.
Medico ebreo ungherese, Giorgio Jonas viene internato a Villa la Selva per non aver ottemperato al decreto di espulsione degli ebrei susseguente alle leggi razziali del 1938. Il libro nasce grazie al ritrovamento fortuito, da parte della figlia, del diario di prigionia del padre e dal relativo album fotografico.
L’opera, che testimonia in maniera impietosa la dura. sebbene poco evidenziata, persecuzione razziale in Italia, è stato presentato alla presenza del sindaco di Bagno a Ripoli nel 2012, sempre in occasione della Giornata della Memoria, ed è edita da Passigli.